dimanche 22 juin 2008

Notte

E’ la prima notte che dormo da solo. La stanza è buia, e non sento il respiro della mamma, che si è coricata nella camera accanto con mio padre. Perché è così distante ? Il suo respiro a me serve per dormire, per darmi il ritmo. Urlo. La mamma corre sbattendo le porte, terrorizzata. Mi prende tra le braccia, mi dà subito il seno. Io non ho fame, lei insiste, mi fa ingoiare il suo seno quasi a forza. Mi dibatto, sputo. Lei è stanchissima, non riesce quasi a tenermi in braccio. Insiste ancora un po’ con il latte, ma dato il mio rifiuto netto, se ne ritorna a dormire. Ma io la voglio vicino a me. Urlo di nuovo, piango senza sosta, il pianto diventa meccanico, è uno stato di alterazione che non controllo più e come una bambola parlante a cui si è inceppato il disco ripeto indefesso quel gemito lievemente articolato : lo stesso verso con due o tre pause per riprendere fiato : ha un effetto calmante su di me, mi riempie i polmoni, la bocca, riempie la mia stanza, la casa, e sento dentro di me che fa succedere qualcosa nel corpo di mia madre. E’ un richiamo che la mette in moto, non può fermarsi, l’unico modo di fermarsi sarebbe chiudere le porte e non ascoltarmi, ma se mi sente è finita, i miei gemiti sono fatti per farla muovere, per agitare le sue viscere e il suo latte, non può restare distesa davanti a quell’urlo, e difatti la vedo ricomparire, sempre più stanca ed affannata : non ha le idee chiare neanche lei su quello che si debba fare in questi casi. Mi prende, poi mi riposa e mi lascia piangere un po’. Poi di nuovo mi riprende. Mi tiene tra le braccia, mi fa fare un giro della casa, la mia testa è appoggiata sulla sua spalla, vado avanti a piangere a più non posso, non posso smettere, è un temporale che bisogna far passare da solo, non serve cercare soluzioni, cambiare posizione, cambiarmi ancora una volta, io non posso fermare questo pianto fino a quando non si fermerà da solo. La mamma è esausta, è arrabbiata, i suoi gesti si fanno bruschi, la meccanicità del mio pianto la esaspera, anche i suoi movimenti si fanno meccanici, mi culla senza amore, avanti e indietro, sperando che finalmente la smetta. Sento che è pericolosa in questo stato, il mio gemito animale è disumano per lei, il contatto cosciente tra di noi è rotto, è come se il mio pianto parlasse direttamente alle sue viscere e ai suoi muscoli, l’obbligasse ad agire senza che le nostre due persone si riconoscano più. E’ così difficile per lei gestire il legame folle, biologico, inscindibile tra di noi e insieme l’amore di due esseri umani, di due persone che si sono incontrate la prima volta qualche giorno fa. Potrebbe uccidermi in questo momento, potrebbe lanciarmi giù dalla finestra semplicemente ampliando il movimento delle sue braccia che sta ripetendo da ore per calmarmi. Non sono più suo figlio, sono un pezzo agitato di natura che la stravolge, la obbliga ad agire, le consuma tutte le energie. La notte è allucinante, piena di fantasmi, di ansia, ho paura di non sopravvivere la notte, ho paura che mia madre, feroce e assonnata, mi possa uccidere, ho paura di quel silenzio, del freddo della mia camera, di quell’uomo che non conosco ancora bene che e si tiene vicino a sé mia madre. Finalmente sento che la luce del giorno sta ritornando, sento il canto di un uccello entrare dalla finestra e di colpo interrompo la mia cantilena e cado in un sonno profondo. Ricomincia la creazione, il canto degli uccelli solidifica di nuovo la realtà del giorno che la notte aveva liquefatto : esisto da troppo poco, è per questo che ho così paura che l’esistenza scompaia di nuovo, che l’enorme sforzo di creazione dal nulla, di dare luce, giorno, acqua, aria, terra si ritragga al contatto delle tenebre. I miei occhi si chiudono pesanti, ma filtra dalle palpebre la luce del giorno. Osservo da dietro le mie palpebre chiuse un colore dorato, macchiato qua e là dalle impronte delle ombre della notte. Il mondo è ancora qui. Io sono ancora qui. Vittoria.

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