Ho due giorni e una nausea insopportabile, la mia pancia brucia e si contorce, la mia bocca è sempre arsa, l’aria che respiro mi secca la bocca. Ha ragione Hobbes: la vita umana è solitaria, miserabile, pericolosa, animale e breve: non sopravviverò, lo sento, è troppo difficile, giro la testa in cerca di salvezza, ma tutto quello che incontro è l’enorme seno di mia madre, una montagna rosa con una grossa protuberanza violacea, spessa più di un dito. La mamma mi mette in bocca il capezzolo, i miei istinti si eccitano, muovo freneticamente la testa e con un gesto ripetuto della bocca cerco di catturare quell’affare, mi attacco, poi lo riperdo, il movimento è quello, ma è difficile, non funziona sempre, tutto freme nel mio corpo ogni volta che riesco ad attaccarmi, e appena mi stacco il mio corpo si innervosisce, si irriggidisce, è una frustrazione continua. Riesco per qualche secondo a restare attaccato, le mie mani reggono il seno immenso di mia madre e i miei piedi piccolissimi le fanno una pressione lieve sulla pancia, un movimento lento, animale, un piede dopo l’altro, come un massaggio. Esce finalmente un liquido denso, giallastro, nauseabondo. Lo bevo voracemente, la mamma piange, si lamenta. Il colostro cola nella mia bocca, la nausea aumenta, lascio la presa, urlo a più non posso. Urliamo tutti e due, la mamma ha male. Riprendo il suo seno avidamente, non so cosa voglio, c’è un sapore nuovo, di sangue, il capezzolo è pieno di tagli, le fa male. Lo mordo forte con le mie gengive, lei urla, mi stacca, mi mette nella piccola culla di plastica. Io urlo disperato, lei si allontana, urlo ancora più forte, la voglio qui, subito, voglio quel capezzolo insanguinato, anche se mi dà la nausea, ma mi devo attaccare, mi devo attaccare a tutti i costi, c’è qualcosa che deve succedere nel mio corpo perché divenga realmente umano, e ho bisogno di quel capezzolo. La mamma torna, piange si dispera, avvicina il suo capezzolo alla mia bocca poi lo ritrae con un gesto brusco. Io mi arrabbio, sono disperato anche io, non so come salvarmi da questo malessere totale. La mamma mette una crema sul suo seno, il sapore è orribile, amaro, riprova a mettermelo nella bocca, mi sembra di soffocare, ma mi riesco ad attaccare questa volta, sento il suo corpo fremere di dolore, la sento gemere, piagnucolare, ma io non mi stacco, ho preso il ritmo giusto, succhio con tutte le mie forze, il liquido denso cola, cola e finalmente qualcosa di umano succede, la mia pancia si rilassa e una sensazione calda mi invade in mezzo alle gambe. E’ tutto caldo, molle e bagnato lì in mezzo, ah, mi sento molto meglio ora, ho prodotto le mie prime feci, ora tutto scorre, entra ed esce, ho preso vita, questa è la vita. E’ la prima tregua dal disagio continuo che provo da quando ho cominciato a vivere, e questo senso di riposo, questo primo momento in cui posso allentare la presa nella lotta per la sopravvivenza mi rilassa. Vengo spogliato, pulito con dell’acqua freddissima, rivoltato, cambiato, ancora qualche minuto di sofferenza e poi dormirò beato, questa volta davvero beato, sicuro di aver fatto il mio dovere di essere umano. Ormai la macchina si è messa a funzionare, sono salvo, ce la farò.
Il mio primo successo ha provocato un miracolo anche nel corpo della mamma. Dormo una notte lunghissima e tranquilla, estenuato da quei due giorni di battaglia e la mattina mi sveglio tra le braccia di mia madre che ha un odore completamente nuovo: un odore dolciastro e terribilmente sensuale, i suoi seni sono tutti diversi, ancora più gonfi e duri come il marmo, dai capezzoli cola un liquido nuovo, biancastro, invitante: è il latte, sì è arrivato il latte, sono arrivati fiumi di latte, come la manna bianca dal cielo del deserto, tutto per me, a toccarle un seno appena appena la mamma spruzza latte da tutte le parti, che gioia, è il mio latte, il mio nutrimento che mi sazierà a volontà. Provo ad attaccarmi voracemente, ma il seno è ancora più difficile da prendere: è durissimo, levigato come una sfera, non c’è un punto dove afferrarlo. La mamma mi aiuta, regge lei il suo seno pesante, lo preme, lo spreme quasi, e gli zampilli di latte escono da più buchi del suo capezzolo, dritti nella mia bocca, una meraviglia, un sapore buonissimo, nettare e ambrosia, che delizia.
3 commentaires:
che racconto meraviglioso!!!
complimenti!
Teresa
Stupendo tutto il racconto, come gli altri articoli del blog.
Sono sinceramente e genuinamente ammirato.
Gianluigi
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