Si parte. Guardo la mamma agitarsi per la casa, tra scatoloni aperti e valigie. Osservo gli oggetti familiari e tutto è fuori posto. Il mondo delle cose intorno a me, il primo mondo a cui ho cominciato a dare un senso sta collassando poco a poco dentro scatole e cartoni. Posso muovermi ora, ho 8 mesi, riesco a strisciare dappertutto. Guardo curioso nelle scatole, gli scaffali sono vuoti, quella realtà, quelle file di colori lungo le pareti, non esisteranno mai più per me. La mamma è agitata, cammina avanti e indietro, piango, sono frustrato di strisciare come un animale, la chiamo in continuazione, non so cosa voglio di preciso, voglio soprattutto la sua attenzione direi, non sopporto di vederla così distratta, così focalizzata su altre cose. Lei si innervosisce, i miei richiami sono chiaramente un’interferenza in questo momento, la sua testa è focalizzata su altro, i suoi occhi seguono gli oggetti che cascano uno a uno nelle scatole e la mente è occupata nell’organizzare il seguito delle operazioni. Provo a richiamarla con il migliore dei miei repertori, ho imparato anche io ad usare labbra, denti e gengive per produrre quei suoni preziosi. Le sciorino l’intera gamma sonora, so anche variare l’intonazione, faccio come fa lei quando è gentile o quando mi parla con aria interrogativa, poi cambio, faccio un vocione, insomma mi esercito a capire che cosa le interessa di più. La mamma si limita a mugugnare qualcosa ma non cambia obbiettivo. Una volta impacchettati cartoni e valigie, inizia un eroico andirivieni dalla porta con le braccia cariche di mercanzia, io protesto, non mi piace essere lasciato solo in questa camera mezza spoglia, mio padre è via e quella deliziosa signorina dalla voce acuta che ogni tanto si occupa di me è stata ingaggiata dalla mamma per sorvegliare l’automobile davanti a casa. Che follia, mi lasciano solo : ma io non sono più una specie di vegetale che resta dove lo posi. So muovermi e non mi lasceranno così facilmente qui solo ad annoiarmi. Senza esitazione, comincio a gattonare veloce, attraverso l’uscio di casa e precipito per le scale rotolando come una palla. Mi ritrovo ai piedi di mia madre che mi guarda a bocca aperta, senza riuscire ad emettere suono. Almeno, per qualche secondo. Ed era meglio così, perché quando ritrova la parola, si lascia andare a un grido disperato. Chiama Annie, la signorina con la voce acuta, le spiega affannata l’accaduto, mi guardano come una bestia rara, mi toccano la testa, non capisco se la mamma sia preoccupata o minacciosa, credo che ci sia un mélange di tutti e due, credo che d’istinto sappia benissimo che non mi sono fatto nulla, ma vuole farmela pagare facendosi vedere distrutta dalla preoccupazione per colpa mia. Non è stata una grande idea, lo ammetto. E anche se non piango, devo dire che mi sento piuttosto ammaccato. Vengo depositato rapidamente sul seggiolino in automobile, lì possono legarmi, lo conosco bene il trucco, così sono sicuri che non posso combinare altri disastri. Sotto la stretta sorveglianza di Annie, resto immobile nel seggiolino, la testa mi fa un po’ male effettivamente, e mi duole un piede. Infine la mamma si siede al volante, dopo aver chiuso il baule con uno schianto che mi ha fatto sussultare. Si parte. Adoro questo momento, il mondo scorre veloce dal finestrino, il seggiolino è comodo, la mamma vicina e non c’è vento che entra nelle orecchie o nella faccia. L’auto ha qualche piccolo sussulto a volte, dovuto alla pavimentazione.
dimanche 22 juin 2008
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